Decreto dignità, come ha influito sul gioco in Italia
Non sempre i propositi riescono a concretizzarsi, e le regole che poniamo – a noi stessi o alla comunità – per raggiungere gli obiettivi desiderati riescono ad essere efficaci. Questo purtroppo è un inconveniente che può capitare in qualsiasi ambito, e ad ogni livello: anche per quel che riguarda i Decreti governativi. Un esempio? Non possiamo certamente dire che il Decreto Dignità stia dando i frutti sperati, ad ormai quasi due anni dalla sua approvazione. Si tratta infatti del primo decreto firmato da Di Maio, durante l’ex governo gialloverde, e venne approvato il 2 luglio 2018 per poi entrare in vigore definitivamente in data 11 agosto. Andiamo a vedere in cosa consisteva, e quali conseguenze ha avuto finora.
In cosa consisteva il Decreto Dignità
Il Decreto toccava quattro punti fondamentali, ed era composto da provvedimenti che si sviluppavano proprio attorno a questi nuclei tematici. In particolare noi vogliamo porre la nostra attenzione sul quarto punto, quello dedicato alla lotta alla ludopatia. Ma andiamo con ordine, ecco i quattro principi sui quali era basato:
- Semplificazioni fiscali
- Disincentivazione alla delocalizzazione
- Lotta alla precarietà con la modifica del Jobs Act
- Stop alla pubblicità dei giochi che prevedono premi in denaro
Sul momento l’impellenza principale era quella di contrastare la crescente precarietà, dunque gli altri argomenti del Decreto passarono in un primo tempo in secondo piano. Ma a quasi due anni dall’approvazione, è giusto concentrarci anche su quali sono stati i risultati ottenuti dagli altri punti, in relazione alle rispettive aspettative. La premessa di apertura del punto 4 citava: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia”
Dunque, si capisce come l’argomento fosse in realtà di grande importanza. Analizziamo quindi quali furono le misure prese in questo senso. Venne utilizzato quello che potremmo definire una sorta di pugno duro, vietando qualsiasi forma di pubblicità a giochi o scommesse con vincite in denaro: fossero queste dirette o indirette, sotto qualsiasi forma e perpetrate attraverso ogni tipo di mezzo. Chi non si fosse attenuto alle regole, sarebbe incappato in una sanzione con importo minimo di 50.000€ per ogni violazione.
I soldi raccolti in questo modo, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sarebbero poi andati a creare un tesoretto da devolvere al Ministero della Salute e destinare ad un fondo di contrasto proprio al gioco d’azzardo patologico. Le uniche eccezioni a questo Decreto erano tutti quei contratti di pubblicità già in corso nel momento in cui questo venne approvato: per loro, continua a far fede la normativa precedente.
La situazione attuale
Analizzando lucidamente quanto citato all’interno del Decreto, emerge subito una discrepanza che può avere un peso non indifferente: penalizzando in questo modo qualsiasi tipo di pubblicità, infatti, non si sarebbe presentato il rischio di affossare in maniera eccessiva tutti quei casino nuovi che possono vantare siti legali e protetti rispetto a tutti quelli illeciti? Ed infatti, è esattamente quel che è accaduto.
Esistono infatti due articoli, stilati dall’AGCOM, che criticano fortemente la nuova legge imputandole il fatto di essere parecchio lacunosa e in molti punti addirittura in contrasto con altri provvedimenti precedenti. In che modo? Secondo l’organo, la legislazione in materia di gioco d’azzardo negli anni precedenti al nuovo Decreto aveva contrastato miratamente il gioco illegale, mentre questo provvedimento colpiva in maniera troppo generica tutto il settore andando appunto a penalizzare gli operatori legali.
Il decreto sembra ad oggi, in sostanza, piuttosto inefficace e strutturato senza una coerenza con il passato: in questo modo il fruitore è quasi confuso dalla “tolleranza zero” verso ogni tipo di pubblicità, e non riconosce più a dovere gli operatori legali da quelli illegali.