restrizioni alla pesca a strascico
Nel Mare di Koster, lungo la costa occidentale della Svezia, un esperimento ecologico durato oltre un quarto di secolo sta mostrando risultati sorprendenti. Dopo decenni di pesca a strascico distruttiva, la creazione di un’area marina protetta ha interrotto l’uso di reti pesanti sul fondo, permettendo agli ecosistemi subacquei di iniziare un processo di recupero. Uno studio dell’Università di Göteborg, basato su 26 anni di riprese subacquee e analisi con intelligenza artificiale, rivela che le restrizioni alla pesca a strascico permettono al fondo marino di riprendersi. Coralli, anemoni e spugne stanno tornando. Ma mentre la vita si riorganizza, un nuovo nemico minaccia questo fragile equilibrio: il riscaldamento delle acque.
La pesca a strascico consiste nel trascinare reti enormi e pesanti sul fondo marino, spesso appesantite da catene d’acciaio o rulli. Le attrezzature utilizzate raschiano letteralmente il fondale, distruggendo habitat delicati come praterie di fanerogame, colonie di spugne e formazioni coralline che richiedono secoli per svilupparsi. È come usare un bulldozer per catturare uno scoiattolo in una foresta: si prende il bersaglio, ma si distrugge tutto il resto. Oltre ai danni fisici, il sollevamento dei sedimenti soffoca organismi filtratori e altera la chimica locale. Per anni, questo metodo ha devastato gli ecosistemi bentonici del Mare di Koster.
Quando la pesca a strascico è stata vietata nell’area, gli effetti sono stati progressivi ma significativi. Senza più perturbazioni meccaniche, i fondali hanno cominciato a stabilizzarsi. Nuvole di sedimenti hanno smesso di oscurare la luce e ostruire le branchie. Specie sensibili come cozze, anemoni e coralli molli hanno ripreso a colonizzare i pendii rocciosi. Come spiega il ricercatore Matthias Obst: “Gli organismi filtratori non prosperano quando il fondo viene continuamente sconvolto. Con il divieto, molti di loro si sono ripresi in modo notevole.”
La forza dello studio sta nella sua durata storica. Decine di ore di video subacquei, registrati dal Tjärnö Marine Laboratory dal 1997 al 2023, sono state analizzate grazie all’intelligenza artificiale. Lo studente Christian Nilsson ha addestrato una rete neurale convoluzionale per identificare automaticamente 17 specie marine in oltre 4,4 milioni di immagini. L’analisi, eseguita su supercomputer nazionali svedesi, ha permesso di quantificare cambiamenti impercettibili all’occhio umano, rivelando trend ecologici su scala ventennale.
I dati mostrano che il recupero non è uniforme. Mentre alcune specie prosperano, altre declinano. La spugna calcifica (Geodia barretti) e la vongola da escavazione (Acesta excavata), entrambe fondamentali per la struttura dell’ecosistema, sono diminuite a basse profondità. Al contrario, l’anemone piumoso (Metridium senile) è aumentato, dimostrando una forte tolleranza al caldo. Altri organismi tipici delle acque fredde hanno migrato verso zone più profonde, inseguendo temperature più fresche. Il riscaldamento globale sta ridisegnando la composizione delle comunità marine, anche in aree protette.
Lo studio dimostra che la protezione locale funziona, ma ha limiti. Le restrizioni alla pesca a strascico rimuovono una pressione diretta, permettendo al fondo marino di riprendersi. Tuttavia, il riscaldamento delle acque è un fattore globale che non può essere gestito con misure locali. Anche negli ecosistemi più curati, le temperature crescenti alterano metabolismo, competizione e disponibilità di risorse. I ricercatori avvertono: senza azione climatica coordinata, i guadagni della conservazione potrebbero essere vanificati.
Il progetto Digital Twin of the Ocean mira a modellare questi processi su larga scala. Integrando i dati sulle popolazioni ottenuti con AI in modelli oceanografici, gli scienziati possono simulare scenari futuri. Questi strumenti aiutano a prevedere dove le specie sensibili al calore potrebbero trovare rifugio ( ad esempio in canyon sottomarini o acque più profonde ) e a progettare reti di aree protette più resilienti. La conservazione del futuro sarà adattativa, guidata dai dati e anticipatrice dei cambiamenti climatici.
La storia del Mare di Koster è sia un successo che un monito. Da un lato, mostra che la natura può riprendersi quando le pressioni umane dirette vengono rimosse. Dall’altro, evidenzia che la resilienza ha un limite. Senza un impegno globale per ridurre le emissioni, anche gli ecosistemi più protetti saranno travolti dal cambiamento termico. Come dice Obst: “Alcune specie potrebbero non sopravvivere qui. Dovremo forse aiutarle a trovare nuovi rifugi.” La protezione della vita marina richiede comprensione, pazienza e azione su tutte le scale, locale e planetaria.
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