6 Novembre 2025
Cultura e Società

“A Londra, ma con l’Italia nel cuore”: i romani tra nostalgia e nuove radici

Camminando per le vie di Camden, tra i mercatini vintage e il profumo speziato del cibo etnico, capita spesso di incrociare accenti familiari. È il romano sbarcato a Londra. C’è chi è arrivato da pochi anni per cercare un’opportunità, chi invece è nato qui da genitori partiti negli anni ’90, ma continua a sentirsi profondamente legato a Roma. Per molti romani di prima e seconda generazione, la vita nella capitale britannica è un equilibrio fragile tra integrazione e nostalgia.

Abbiamo incontrato alcuni di loro per capire come si vive a Londra da romano, e cosa resta dell’identità italiana in una metropoli che, pur nella sua apertura, può far sentire terribilmente lontani da casa.

«Mi manca pure il traffico dell’Appia»

Giorgio P., 42 anni, originario del quartiere Tuscolano, è arrivato a Londra nel 2011. Lavora come project manager in una società di consulenza tecnologica. Racconta di essere partito “con la valigia piena di speranze e una buona dose di incoscienza”.

«All’inizio Londra mi sembrava un sogno. Multiculturale, dinamica, piena di possibilità. Ma dopo un po’ cominci a sentire che qualcosa ti manca. Non parlo solo del caffè decente o della carbonara fatta come Dio comanda, ma di Roma: gli amici, la famiglia, il clima, perfino le contraddizioni. Ogni volta che torno e passo su via Appia, col traffico impazzito e i clacson che suonano, penso: “Ma quanto me mancavi”».

Giorgio ammette che Londra offre molto sul piano professionale, ma che la città non riesce a colmare un vuoto più emotivo. «Qui la gente corre, lavora tanto, ma le relazioni sono più fredde. A Roma bastano due chiacchiere al bar e diventi amico. A Londra ci vogliono mesi per arrivare a un “come stai?” sincero».

«Parlo romano, ma non so fare l’amatriciana»

Diana C., 24 anni, è nata a Islington, figlia di genitori romani emigrati nel 1997. Lavora in una startup del settore moda e parla un ottimo italiano, anche se dice di pensarci in inglese.

«I miei mi hanno cresciuta raccontandomi storie di Roma. Da piccola ascoltavo Venditti, guardavo “Un medico in famiglia” e mangiavo pasta all’arrabbiata fatta da mamma ogni domenica. A scuola ero “quella italiana”, anche se sono nata qui. Ma a Roma mi sento inglese. Insomma, sto nel mezzo».

Quando torna in Italia, una volta l’anno, vive una strana forma di spaesamento: «Non conosco bene i mezzi pubblici, non so come si prende un appuntamento all’Asl, ma mi sento a casa quando vedo il Colosseo. Ho una doppia identità, e in certi momenti mi sento fuori posto ovunque».

Diana confessa di avere una certa nostalgia di una “romanità” idealizzata: «A volte sogno una vita più rilassata, dove non devo spiegare chi sono. Qui devo sempre dire: “Italian, but London born”. Mi piacerebbe che un giorno Roma fosse una città dove tornare davvero, e non solo per le ferie».

«Londra mi ha accolto, ma l’Italia mi definisce»

Andrea M., 35 anni, ex musicista ora insegnante in una scuola secondaria di Hackney, vive a Londra dal 2014. A Roma lavorava saltuariamente, “tra concerti e call center”. Londra, dice, gli ha salvato la vita.

«Qui sono riuscito a stabilizzarmi, a costruire un futuro. Però non passa giorno in cui non pensi all’Italia. Quando i miei studenti mi chiedono da dove vengo, rispondo: “From Rome, the most beautiful city in the world”. E lo dico con orgoglio, ma anche con un nodo in gola».

Andrea è tra quelli che, ogni anno, organizza la “cena romana” tra amici espatriati: gricia, saltimbocca, tiramisù e musica romana in sottofondo. «È un modo per tenerci stretti. Siamo lontani, ma nessuno di noi ha mai smesso di sentirsi romano. E poi, ogni volta che c’è una partita della Roma, ci troviamo in un pub a Clerkenwell. È lì che rinasce il senso di appartenenza».

«Siamo un ponte tra due mondi»

Molti romani della seconda generazione si trovano a mediare tra due culture. Lo sa bene Paolo L., 29 anni, padre romano e madre inglese, che oggi lavora come interprete. «A casa si parlava romano e si mangiava all’italiana, ma a scuola dovevo spiegare perché non mangiavo fish and chips. Crescere così mi ha dato una visione più ampia del mondo, ma anche un senso di identità un po’ frammentato».

Nonostante ciò, Paolo non cambierebbe nulla: «Essere romano a Londra significa portare un pezzo di cultura, di umanità, di ironia in una città bellissima ma spesso impersonale. Il nostro accento, il nostro calore, sono un antidoto alla freddezza metropolitana».

Molti dei romani incontrati dicono di non escludere un ritorno, ma che oggi l’Italia non offre certezze. «Tornerei subito – dice Giorgio – se ci fosse un lavoro dignitoso e stabile. Ma per ora, resto con la nostalgia nel cuore e le valigie sempre pronte».

In una città che cambia a ritmo frenetico, il legame con Roma resta una bussola emotiva. Londra è una sfida, un’opportunità, ma per tanti rimane un capitolo provvisorio. Roma, con tutti i suoi difetti, è ancora casa. Anche se lontana.