9 Dicembre 2024
Medicina, Salute, Benessere

Il cuore spezzato è più frequente tra le donne: gli ultimi studi sul tema

Forti dolori al petto e possibili alterazioni del tracciato dell’elettrocardiogramma. Le arterie coronariche non hanno ostruzioni significative. Sono gli elementi che contraddistinguono il crepacuore che, secondo la scienza, si chiama sindrome di Takotsubo. Il danno si concentra sulla regione apicale del cuore perché è lì che è ubicata la disfunzione, tanto che il cuore assume la caratteristica forma a forma di cesta per raccogliere i polipi, che i giapponesi chiamano Takotsubo. A rischio sono soprattutto le donne, dopo la menopausa. Il danno in genere è temporaneo. Infatti la patologia può risultare potenzialmente letale e, secondo uno studio condotto all’Università Monash di Melbourne il rischio di mortalità sarebbe nove volte maggiore nel sesso femminile. La scienza afferma che in poco meno di dieci casi su cento di infarti del miocardio non si individua alcun coinvolgimento delle arterie coronariche. Ad alcuni pazienti viene diagnosticata la sindrome del cuore spezzato, altri restano senza diagnosi. In questo senso, per favorire una diagnosi precoce, potrebbe essere utile una risonanza magnetica del cuore, almeno stando da una ricerca dell’Istituto Karolinska di Stoccolma pubblicato sulla rivista JACC Cardiovascular Imaging.

La scienza sta cercando di carpire i segreti di una condizione che interessa soprattutto le donne

Si sa da tempo infatti che in termini generali, una forte tensione emotiva porta ad un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, due meccanismi che tendono a rendere meno stabile la placca aterosclerotica presente in una o più arterie coronariche. Ma nella cardiomiopatia da Takotsubo o sindrome del cuore spezzato, le arterie non presentano ostruzioni. La condizione è caratterizzata da una ridotta funzionalità cardiaca che è probabilmente correlata allo stress e che presenta gli stessi sintomi di un attacco cardiaco regolare. Come nasce il quadro e cosa succede nel cervello di chi svilupperà la sindrome? La risposta viene da una ricerca che dimostra che, pur coinvolgendo il muscolo cardiaco, la reazione figlia di un grave stress recente come scippi, furti in casa, o lutti improvvisi, sarebbe il frutto di un meccanismo a cascata che prende origine nel sistema nervoso e che può risentire di differenze da persona a persona nella reazione agli eventi stressanti. A dirlo è uno studio sul metabolismo cellulare apparso su European Heart Journal, che ha preso in esame le scansioni di imaging del cervello in 41 persone che poi hanno sviluppato un quadro di Takotsubo, confrontandole con quelle ottenute in 63 soggetti senza problemi specifici.

In genere le aree cerebrali con una maggiore attività metabolica sono quelle che si utilizzano di più e se si rileva più “azione” nelle zone coinvolte nella risposta allo stress si può pensare ad un coinvolgimento emotivo più significativo in alcune persone predisposte. Lo studio, coordinato da Ahmed Tawakol, del Massachusetts General Hospital, ha dimostrato che una “chiave” del processo patologico starebbe nell’attività dell’amigdala: quando questa si intensifica in risposta ad uno stress aumenterebbe il rischio di sviluppare un Takotsubo in tempi più rapidi. Se invece ci sono reazioni più lente, il quadro si può sviluppare negli anni successivi. Insomma: la sindrome non sarebbe solo frutto di un evento raro e terribile come il decesso di un coniuge o di un figlio, come dicono gli esempi classici, ma secondo gli esperti americani ci sarebbero soggetti predisposti, in cui anche l’esposizione a fattori di stress più comuni, come un esame diagnostico preoccupante o una frattura, possono scatenare il quadro.

Nella sindrome di Takotsubo, quindi, lo stress può essere il motore dei problemi cardiaci. E il cuore si trova sottoposto ad una vera e propria tempesta di catecolamine che si mantiene nel tempo e porta ad un aumento prolungato di richiesta di ossigeno da parte delle cellule miocardiche. Il risultato è che alla fine il cuore non ha più forza nella contrazione e così compaiono i sintomi. Adrenalina e noradrenalina prodotte dalle ghiandole surrenali in risposta allo stress infatti portano danno al miocardio non per la formazione di occlusioni lungo le arterie coronariche, che in questa forma rimangono pervie, ma per una richiesta abnorme di energia da parte delle cellule miocardiche stesse. Questo meccanismo, oltre che da stress economici sociali ed emotivi, può essere legato a un lutto e si manifesta nei giorni immediatamente successivi alla perdita. In questo senso, peraltro anche la pandemia di Covid-19 aggiunge un ulteriore rischio. Secondo una ricerca recentemente pubblicata su Jama Network Open, coordinata da Ahmad Jabri della Cleveland Clinic, durante il periodo pandemico in due ospedali dello stato americano si è registrato un numero significativamente maggiore di casi (siamo nell’ordine delle quattro volte) di Takotsubo rispetto ai periodi pre-Covid: la mortalità non si è modificata, ma le degenze sono state più lunghe durante il periodo pandemico.

Sul fronte delle terapie occorre comportarsi inizialmente come si fa con un classico infarto

Bisogna agire presto e bene. La prima da cosa da fare nei pazienti con sindrome di Takotsubo è effettuare una coronarografia dato che la sindrome di Takotsubo non implica una ostruzione coronarica è necessario per la sua diagnosi la dimostrazione di un albero coronarico esente da trombosi acute. Per quanto riguarda la terapia non esistono linee guida sul trattamento della sindrome di Takotsubo. La terapia della fase acuta dipende molto dallo stato della funzionalità del ventricolo sinistro e si base in modo empirico su farmaci di supporto come Ace-inibitori, diuretici e beta-bloccanti. Anche in mancanza di raccomandazioni specifiche, potrebbe essere ragionevole somministrare, in assenza di controindicazioni, farmaci beta-bloccanti almeno fino alla normalizzazione della disfunzione del ventricolo sinistro. In caso di grave scompenso acuto potrebbe essere anche necessario l’uso di sistemi meccanici per sostenere la circolazione arteriosa. Nella fase acuta della malattia, l’unica certezza per questi pazienti è la necessità di un ricovero in una unità di terapia cardiologica, le classiche Utic, per prevenire le possibili gravi conseguenze sotto forma di aritmie cardiache.