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Il fascino della Chiesa di Santa Maria in Via nel rione Trevi

Nel cuore del rione Trevi, tra largo Chigi e Via del Tritone, sorge la splendida Chiesa di Santa Maria in Via. La primitiva chiesa risale al X secolo d.C., come risulta nella menzione di una bolla del 955 di Papa Agapito II. Nel XII secolo, contigua all’antica chiesa, vi era la stalla del palazzo del cardinale Pietro Capocci. La notte tra il 26 e il 27 settembre 1254, dal pozzo della stalla, improvvisamente, l’acqua cominciò a risalire inondando tutto l’ambiente. I servi, allarmati dallo strepito dei cavalli, accorsero in fretta e notarono, stupiti, che sulle acque galleggiava una pesante tegola sulla quale era dipinta un’immagine mariana. I servi tentarono di afferrare l’icona, che qualcuno dei servi aveva gettata nel pozzo per incuria o forse per disprezzo, ma essa continuamente sfuggiva dalle loro mani. Avvisarono il Cardinale che, vestiti gli abiti cardinalizi, in fretta si recò nella stalla con tutta la sua nobile corte e, fatta una breve e fervente preghiera alla Vergine, entrò nell’acqua e al primo tentativo riuscì ad afferrare la preziosa effige di Maria, la portò nel suo appartamento e rimase tutta la notte in preghiera. Al mattino, il Cardinale corse a riferire l’accaduto al Santo Padre Alessandro IV, che stupito chiese un’indagine accurata sul prodigio e accertatane la veridicità, diede il permesso, assecondando il desiderio del Cardinale, di costruire un santuario inglobando la stalla con il pozzo in una preziosa cappella. Il Papa prese parte alla solenne processione con la quale fu trasportata la miracolosa icona mariana nel nuovo santuario. Il Cardinale Capocci fece in dono alla Chiesa di Santa Maria in Via di numerose reliquie di Santi, tra cui una particella della pietra del pozzo del Patriarca Giacobbe, dove il Signore Gesù chiese alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4, 10).

L’attuale prospetto della chiesa di S. Maria in Via è frutto del contributo di diversi artisti che vi lavorarono nell’arco di circa un secolo, da Giacomo Della Porta nel 1594 all’architetto Carlo Rainaldi, che nel 1681 ne ultimò i lavori. La chiesa si presenta con un’alta facciata in travertino, distribuita su due ordini orizzontali. Sul fregio che separa i due ordini, una lunga iscrizione in latino che ricorda che la chiesa è stata “Dedicata a Dio in onore della Vergine Maria Madre di Dio nell’anno 1256”. Fu Papa Leone X De Medici che nel 1513 affidò la custodia della Chiesa ai Padri Servi di Maria, che ancora oggi offrono il loro prezioso servizio in questo luogo sacro.

L’interno è ad una sola navata, affiancata da quattro cappelle per parte e coronata dalla cappella maggiore absidata, ricca di decorazioni e di colori. La prima cappella a destra, detta Cappella del Pozzo, è la più profonda tra le cappelle della chiesa, perché comprende il pozzo dalle cui acque emerse e fu ricuperata, nel 1256, l’effige mariana, che da allora viene venerata come la Madonna del Pozzo. Si tratta di un piccolo affresco del XIII secolo opera di un ignoto pittore della Scuola romana, realizzato su di un frammento di tegola o lavagna. La Vergine Maria è rappresentata a mezzo busto con il capo un poco inclinato, circondato dall’aureola dorata e ammantato d’azzurro. Il volto della Vergine è connotato allo stesso tempo da profonda dolcezza e mestizia, i grandi occhi esprimono materna preoccupazione e sembrano scrutare l’anima dell’osservatore. Il 17 gennaio 1646, l’icona mariana fu solennemente incoronata dal Capitolo Vaticano. Essa è contenuta in un tabernacolo seicentesco di marmi policromi fra due colonne di pavonazzetto. Incluso nella parete destra si vede il pozzo circolare dalle cui acque emerse l’effige miracolosa. I fedeli continuano ad attingere l’acqua miracolosa dal rubinetto situato accanto al pozzo.

Ogni anima assetata di amore, che qui si lascia scrutare dai grandi occhi della Madonna del Pozzo, riceve l’acqua viva che Gesù promise alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10). Attingiamo con gioia a questa fonte di “acqua viva”, nella certezza che chi beve di quest’acqua non avrà più sete in eterno (cfr. Gv 4, 14).

A cura delle Missionarie della Divina Rivelazione

Fonte: diocesidiroma.it

Antonio Nesci

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