Novagorica: intervista alla band alternative rock romana

“Carne e Saliva” è il nuovo singolo dei novagorica, un brano che mescola fragilità e potenza, tra silenzi strategici e muri di suono, rappresentando un’evoluzione sonora capace di sorprendere i fan. Scopriamo come la band ha lavorato per creare questa traccia unica e quali influenze hanno contribuito alla sua realizzazione.

“Carne e Saliva” mescola influenze alt-rock, indie pop, post-hardcore e midwest emo. Come siete riusciti a bilanciare questi elementi senza perdere coerenza?
Viviamo nell’epoca del post. Post rock, post punk, post hardcore, post tutto. Sembra che tutto sia già stato detto, tutto già stato scritto. Siamo ormai abituati a categorizzare tutto, i film, la musica, il sesso, come se la realtà umana fosse un enorme piattaforma streaming tra cui scegliere il proprio modo di esistere. Noi ripudiamo profondamente tutto ciò. La musica per essere viva deve sporcarsi le mani, mescolarsi e imputridirsi fra generi, influenze, paradigmi. Crediamo profondamente che in questa era in cui tutto è post ognuno possa trovare la propria strada solamente vivendo ciò che produce fottendosene della pornografia dell’originalità, rifiutando profondamente qualsiasi tipologia di timore di essere categorizzati. D’altronde lo dicevano già i CCCP negli anni ’80: Qualcuno ha l’AIDS qualcuno il PRE qualcuno è POST senza essere mai stato niente”

Il brano sembra muoversi tra fragilità e potenza. Come avete lavorato per rendere tangibile questa dicotomia attraverso l’arrangiamento?
Novagorica è una band che vive di contraddizioni. Siamo delicati e amiamo il rumore. Siamo profondamente innamorati dell’italiano ma siamo stanchi dell’utilizzo banalizzante di questa lingua ridondante. Ciò che possiamo fare è vivere la nostra produzione artistica con onestà. Questo per noi vuol dire parlare d’amore e di fragilità utilizzando i linguaggi del rumore e della veemenza sonora. Vogliamo emozionarci e fare casino, nulla di più.

Le chitarre sono protagoniste, ma lasciano spazio anche a silenzi e pause strategiche. Come avete costruito la dinamica del pezzo per far emergere sia la forza che la vulnerabilità?
I due chitarristi della band (Mario e Peppe) collaborano da parecchi anni e vederli suonare insieme fa capire subito che riescono a parlare anche solo tramite lo strumento. Entrambi i nostri album, Preghiera violenta e Altitudine, sono album estremamente chitarristici. Sarà che i nostri ascolti si basano su lavori quali Ok computer o In utero o tanti altri dischi che sono nati facendo fischiare le chitarre. Ci piace pensare che le nostre canzoni si inseriscano in quel mondo lì. Un universo di muri di suono e momenti di delicatezza. D’altronde, come dice sempre il nostro produttore Monakos, in una canzone il silenzio è la parte più importante.

Le vostre influenze spaziano dall’Italia all’estero, dal passato al presente. Quali ascolti vi hanno ispirato maggiormente durante la scrittura e la registrazione del pezzo?
Sicuramente questo brano è figlio di un’evoluzione sonora derivata anche dai nostri ascolti. Se per ogni musicista ascoltare musica è come andare a scuola allora i nuovi dischi di band quali IDLES o Fontaines DC sono stati sorta di corso di Laurea Magistrale. Altitudine si inserisce sicuramente nell’attitudine ruvida che caratterizza le band della nuova gigantesca ondata post punk che sta travolgendo il nord Europa. Poi sicuramente c’è tanto degli anni ’90, dell’identità sonora del grunge che è tatuato nelle nostre ossa.

Pensate che l’evoluzione del vostro suono in “Altitudine” possa sorprendere chi vi ha seguito fino a oggi?
Forse sì, forse no. Queste canzoni nascono da un’esigenza di avere fra le mani brani con un sound il più dritto e ruvido possibile. Abbiamo voglia di conoscere gente, suonare il più possibile, scontrarci e confrontarci con nuovi ascolti, nuovi locali, nuove idee. E se poi qualcuno si sorprende, ben venga, vuol dire che abbiamo fatto centro.