L’effetto riscaldamento globale su piante e insetti: la storia di 56 milioni di anni fa
“La redazione del magazine Quando Si Pianta (https://quandosipianta.it) ha redatto questo contenuto e continua a seguire le ultime scoperte scientifiche per offrire ai lettori approfondimenti su tematiche ambientali e sostenibilità. Per rimanere aggiornati su argomenti green e ricevere contenuti esclusivi, è possibile unirsi al canale Telegram t.me/quandosipianta.”
Il cambiamento climatico ha sempre modellato la vita sulla Terra, ma raramente con la rapidità osservata oggi. Una ricerca pubblicata sulla rivista Paleobiology ha analizzato un episodio di riscaldamento globale avvenuto 56 milioni di anni fa, rivelando come l’effetto riscaldamento globale su piante e insetti abbia trasformato completamente gli ecosistemi dell’epoca. Lo studio offre importanti spunti per comprendere cosa potrebbe accadere agli impollinatori e alla vegetazione nel futuro prossimo.
L’antico evento di riscaldamento del Paleocene-Eocene
Durante il Massimo Termico del Paleocene-Eocene, le temperature terrestri aumentarono di circa 5 gradi Celsius in tempi geologicamente brevissimi. L’evento durò più di centomila anni e rappresenta uno degli episodi di riscaldamento più intensi nella storia del pianeta.
I ricercatori hanno concentrato le loro analisi sulla Bighorn Basin nel Wyoming, dove i sedimenti conservano tracce dettagliate di come la flora reagì al cambiamento climatico antico. Le condizioni divennero più calde e secche, con stagioni aride che modificarono profondamente il paesaggio delle pianure alluvionali.
Gli effetti del riscaldamento globale su ecosistemi vegetali si manifestarono attraverso rapide trasformazioni nella composizione delle comunità botaniche. I paleosuoli della regione mostrano evidenze di periodi di siccità che alterarono la struttura del terreno e la distribuzione delle specie vegetali.
Come gli scienziati hanno ricostruito il passato
Il team di ricerca ha utilizzato la palinologia, la disciplina che studia pollini e spore conservati nei sedimenti geologici. I paleontologi hanno esaminato tre aspetti chiave per comprendere l’impatto climatico su impollinazione e biodiversità.
Il primo elemento analizzato riguarda i grappoli pollinici: quando i granuli si presentano uniti e appiccicosi, indicano trasporto da parte di animali anziché dispersione attraverso il vento. L’aumento di questi aggregati nei sedimenti segnala un cambiamento verso strategie riproduttive che coinvolgono fauna impollinatrice.
Il secondo indizio proviene dal confronto con specie attuali geneticamente affini a quelle fossili. Se le piante moderne imparentate con un campione antico sono impollinate da insetti o vertebrati, è probabile che anche i loro antenati adottassero strategie simili.
Il terzo parametro considera la diversità morfologica dei granuli pollinici delle angiosperme. Una maggiore varietà di forme, aperture e ornamentazioni superficiali si associa generalmente all’impollinazione animale, dove si sviluppano interazioni specializzate tra fiori e impollinatori.
Vera A. Korasidis dell’Università di Melbourne ha osservato che l’insieme dei dati indica chiaramente come l’impollinazione animale divenne predominante mentre quella anemofila diminuì durante l’evento di riscaldamento.
L’arrivo di nuove specie vegetali
Le condizioni climatiche alterate favorirono l’espansione di piante provenienti da zone subtropicali. Palme e specie imparentate con il kapok colonizzarono aree precedentemente occupate da vegetazione adatta a climi più freschi.
La redistribuzione della flora durante il riscaldamento globale antico dimostra come le specie vegetali possano migrare seguendo i cambiamenti delle temperature e delle precipitazioni. Le comunità botaniche si riorganizzarono completamente, ridisegnando l’aspetto del paesaggio nordamericano.
Sebbene i fossili di insetti del primo Eocene siano scarsi in Nord America, l’ambra e i segni di erosione sulle foglie dimostrano che api, coleotteri e mosche erano già diversificati e numerosi.
L’effetto riscaldamento globale su piante e insetti promosse l’evoluzione di rapporti più stretti tra vegetazione e fauna impollinatrice. L’aumento dei danni da erbivori visibili sulle foglie fossili conferma la presenza di comunità insettili più complesse e abbondanti negli ambienti in via di riscaldamento.
Il ruolo dei piccoli mammiferi
Oltre agli insetti, anche i vertebrati di piccole dimensioni contribuirono al trasporto del polline. Primati e marsupiali che colonizzarono la Bighorn Basin durante l’evento termico parteciparono attivamente all’impollinazione e alla dispersione dei semi.
La presenza di questi mammiferi arricchì ulteriormente le reti di interazione tra specie vegetali e animali. Il loro contributo facilitò lo spostamento delle piante e l’insediamento di nuove comunità in condizioni ambientali mutate.
L’attività combinata di insetti e piccoli mammiferi sostenne la migrazione della flora verso habitat più caldi e aridi, dimostrando l’importanza della fauna nell’adattamento delle piante ai cambiamenti climatici.
Trasformazioni degli ecosistemi
L’incremento dell’impollinazione animale durante il Massimo Termico del Paleocene-Eocene generò conseguenze che andarono ben oltre il rapporto diretto tra fiori e impollinatori. Le piante che dipendevano dalla fauna per la riproduzione iniziarono a produrre maggiori quantità di nettare, frutti polposi e semi nutritivi.
La produzione aumentata di risorse alimentari rafforzò i legami ecologici tra vegetazione, impollinatori e animali frugivori. L’adattamento climatico di piante e insetti creò catene alimentari più complesse e interdipendenti.
Contemporaneamente, il declino delle specie impollinate dal vento modificò la struttura delle foreste. Le chiome divennero più aperte, le pianure alluvionali si prosciugarono e la configurazione generale della vegetazione cambiò radicalmente.
Le trasformazioni del paesaggio favorirono nuove combinazioni di specie, con effetti a catena su mammiferi e insetti che dipendevano da quegli ambienti specifici.
Insegnamenti per il presente
L’analisi dell’antico riscaldamento globale offre importanti lezioni per comprendere gli effetti attuali del cambiamento climatico. Gli ecosistemi del Paleocene-Eocene subirono modificazioni drastiche, ma molte interazioni tra specie riuscirono a sopravvivere.
La velocità relativa tra mutamento climatico e capacità di adattamento emerge come fattore determinante per la sopravvivenza degli impollinatori. Durante l’evento termico antico, nonostante gli sconvolgimenti climatici intensi, pochi gruppi di organismi si estinsero completamente.
Il riscaldamento, seppur rapido su scala geologica, avvenne su tempi sufficientemente lunghi da permettere l’adattamento delle specie. Le tracce polliniche della Bighorn Basin dimostrano che le interazioni ecologiche possono riorganizzarsi velocemente quando il clima diventa più caldo e secco.
La ricerca evidenzia anche come piante e impollinatori possano spostarsi insieme, purché abbiano tempo e spazio adeguati per la migrazione. L’effetto riscaldamento globale su piante e insetti può essere mitigato se le specie hanno la possibilità di adattarsi gradualmente.
Il confronto con la situazione attuale è illuminante: se i cambiamenti climatici odierni avvengono troppo rapidamente perché le specie possano muoversi e adattarsi, le alleanze ecologiche fondamentali per la produzione di semi, frutti e il mantenimento degli ecosistemi potrebbero non riuscire a tenere il passo con le trasformazioni ambientali.
Fonte: