3 Settembre 2025
Cultura e SocietàViaggi e Turismo

Dalla BBC alla CNN, chi è l’italiano che sta cambiando il racconto del turismo

Dalla BBC alla CNN, l’ascesa di Ruben Santopietro: il nuovo volto del turismo italiano tra visione, critiche e progetti che cambiano i territori.

 

Non è un accademico, anche se ha insegnato come docente ospite in diverse università. Non è un politico, anche se lavora con città e territori di tutta Italia. Ruben Santopietro arriva dal campo, dall’osservazione dei luoghi e delle persone.

Quando mesi fa lo inserimmo nella nostra lista dei “10 maggiori esperti italiani di turismo da seguire” non fu un azzardo, ma un’intuizione. Da allora il suo nome ha iniziato a comparire sempre più spesso su media internazionali come BBC, CNN, National GeographicSkift, accanto a temi come overtourism, sostenibilità e marketing territoriale.

Non tutti però lo leggono allo stesso modo.

Per alcuni è un comunicatore radicale, quasi provocatorio; per altri è invece un innovatore capace di scuotere un settore che spesso fatica a cambiare. Sta di fatto che i progetti messi in campo con destinazioni come Nord Sardegna, Arezzo, Tropea, Genova e tanti piccoli comuni italiani testimoniano che la sua visione si traduce in risultati concreti e duraturi.

Noi di Conosci Roma lo abbiamo intervistato in esclusiva per farci raccontare la sua visione e il percorso di Visit Italy.

 

Ruben, i media internazionali parlano di te come di una nuova voce del turismo italiano. Come vivi questa attenzione?

R.S.: Con responsabilità. Non penso a me stesso come al “volto del turismo”, ma so che ogni volta che parlo porto con me chi lavora ogni giorno nei territori. Non sono stato calato dall’alto… arrivo dallo studio, dall’osservazione dei flussi, dal confronto quotidiano con il mio team. Questo mi ha insegnato una cosa: nel turismo non vivi a lungo di slogan, o porti risultati o scompari.

 

 

Nel 2016 fondi Visit Italy, cos’è in poche parole?

Visit Italy è una piattaforma culturale che lavora con i territori per costruire narrazioni nuove. Non facciamo solo comunicazione: portiamo risultati misurabili, aiutiamo città e borghi a farsi conoscere in modo diverso, a crescere senza perdere la loro identità. È nata dall’idea il turismo debba essere una forza positiva non solo per i viaggiatori, ma sopratutto per le comunità che accolgono.

 

Il tuo TEDx sulla “Checklist Era” è diventato il talk più visto in Italia a tema turismo. Che ricordo hai?

R.S.: In realtà non dovevo nemmeno esserci. Era saltato un relatore famoso e l’organizzatrice mi disse: “Ruben, il palco è tuo se accetti, ma hai un mese di tempo”. Normalmente un TEDx si prepara in sei, dodici mesi. Ho detto sì perché quel palco lo aspettavo da anni. Ho visto cento volte il TEDx di Simon Sinek, ho amato quello di Brené Brown sulla vulnerabilità. Volevo esserci anch’io. Così sono trascorsi trenta giorni durissimi: notti insonni, studio, prove continue. La mattina dell’evento ero in doccia alle sei, in albergo, a ripetere lo speech. Sapevo che in otto minuti mi giocavo anni di lavoro. Quando ho finito, sono esploso in lacrime nella saletta degli speaker. Da outsider, quel talk è diventato il TEDx sul turismo più visto d’Italia.

 

 

Sotto i tuoi post compaiono spesso critiche anche dure. Ti pesano?

R.S.: No, anzi. Se nessuno ti critica vuol dire che non stai dicendo nulla di interessante. Il turismo non è neutro: tocca soldi, comunità, identità. È normale che divida. Un settore che non discute è un settore morto. E per questo in Visit Italy difendiamo la nostra indipendenza: niente fondi, niente politica. Così possiamo dire quello che pensiamo senza dover chiedere permesso a nessuno.

 

Molti parlano di team “uniti” solo per immagine. Vale anche per voi?

R.S.: Per noi no, ed è la cosa che conta di più. In Visit Italy la persona viene prima del professionista. Ai nostri retreat semestrali ci ritroviamo con tutto il team in un borgo, in montagna o al mare. Non solo strategie: ci raccontiamo paure, errori, sogni. Una volta in Toscana abbiamo camminato per ore nei boschi, al freddo, parlando del futuro di un progetto. Un’altra volta a Ischia siamo rimasti tutto il giorno su un caicco storico, tra bagni e discussioni che hanno portato a scelte decisive. Per me è lì la differenza, non sono i progetti a tenere insieme le persone, è il rispetto tra le persone che rende forti i progetti.

 

 

In concreto, quali sono i risultati?

R.S.: Cresciamo a doppia cifra. Ma il dato vero è che le destinazioni rinnovano con noi di anno in anno. Questo vuol dire che il lavoro funziona. Il risultato non è crescere, è crescere insieme ai territori.

 

Quando parli in pubblico, cosa cerchi di trasmettere?

R.S.: Che il turismo non può crescere all’infinito, può crescere solo con i residenti. Una città non è bella perché arrivano milioni di visitatori, è bella se chi ci vive continua a sentirla propria. In Visit lo diciamo sempre che “un turista felice nasce da un residente felice”. È semplice, ma se lo prendessimo tutti sul serio cambierebbe il Paese.

 

C’è chi dice che semplifichi troppo i problemi del turismo. Cosa rispondi?

R.S.: Meglio semplificare che chiudersi nei convegni di settore. Semplificare non è banalizzare, ma rendere comprensibili dinamiche che toccano tutti. Il turismo riguarda milioni di persone, non può parlare solo agli addetti ai lavori. Se le mie parole arrivano a un residente di un borgo che capisce meglio cosa sta succedendo intorno a lui, o a un ragazzo che viaggia e riflette su come farlo in modo diverso, allora so di aver fatto bene il mio lavoro.

 

Come immagini il futuro del turismo italiano?

R.S.: L’Italia del futuro non deve essere quella che conta più turisti, ma quella che insegna al mondo come si fa turismo senza perdere se stessa. Se sapremo tenere vivi i borghi e non solo le città d’arte, diventeremo davvero un modello globale.