Coltivare piante di marijuana ora è legale, ma solo ad uso personale. La svolta giurisprudenziale
Il 19 dicembre del 2019, la Corte di Cassazione si è espressa a sezioni unite circa la coltivazione di piante da cui è possibile estrarre sostanze stupefacenti. Non c’è alcun reato nel momento in cui la coltivazione della marijuana avviene ad uso personale ed in forma domestica. Con l’accettazione della possibilità di coltivare quantitativi modestissimi, si registra un’ulteriore svolta in ambito giurisprudenziale. Questo significa che i siti internet e gli shop online, che hanno il loro core business nella vendita di semi di marijuana a fini di collezione, riconquistano posizioni sul mercato. Nel maggio del 2019, la sentenza della Corte di Cassazione aveva imposto loro il divieto. A fine anno, le cose sono andate diversamente. Consulta questo articolo per ulteriori informazioni.
Va detto che in numerose occasioni, i piccoli commercianti si erano lamentati della sentenza. Il rischio di veder perdere numerosi posti di lavoro era concreto.
Ma partiamo da questo punto. Vediamo cosa ha stabilito nel maggio del 2019 la Suprema Corte
Di primo acchito, la Corte di Cassazione aveva vietato nella maniera più categorica ogni sorta di coltivazione di marijuana. La motivazione di questa scelta risultava totalmente incentrata sulla presenza di rischi concreti di salute per coloro che erano soliti coltivare una specie vegetale in ogni caso proibita. Sotto questo punto di vista, occorre specificare che la pianta di cannabis risulta idonea per la produzione di sostanze stupefacenti.
Scopo primario della Corte di Cassazione era quello di allontanare la duplice minaccia della vendita di cannabis su strada e la detenzione delle infiorescenze, al fine di commercializzazione. Trattasi di due reati puniti dalla legge, secondo quanto sancisce il Codice Penale. Al fine di centrare appieno quest’obiettivo, la coltivazione delle piante di cannabis era stata severamente vietata. Il motivo? Si tratterebbe di vera e propria condotta propedeutica, almeno potenzialmente, al reato di natura penale. La magistratura, sotto questo punto di vista, ha provato in ogni modo possibile ad allontanare il pericolo. Poi a fine anno, come già si è avuto modo di precisare, si è andati incontro ad un sostanziale cambiamento a livello giurisprudenziale.
Cosa è cambiato in concreto con l’ultima sentenza della Corte di Cassazione?
La strategia incentrata sull’assoluto rigore, implementata nel mese di maggio, è stata rivisitata. Ha prevalso una linea più blanda, volta a ribadire i principi secondo cui sia la detenzione ai fini di commercializzazione che la vendita risultano un illecito a tutti gli effetti, a patto che però la concentrazione di THC fosse superiore allo 0,6%. Non in caso contrario. La visione della normativa italiana per quanto riguarda la coltivazione della canapa, pertanto, non si discosta più di tanto da quella dei Paesi facenti parte dell’Unione Europea.
Fatta questa puntualizzazione, ciò che è bene sapere si riferisce ai vari aspetti legali. La Corte di Cassazione, ad esempio, è dell’idea che vendere o detenere cannabis a fini commerciali è un’azione deducibile dal quantitativo di piante coltivate. Se ragionevole, vuol dire che non deve servire a produrre fiorescenze pronte per essere vendute o dare luogo ad una sorta di business. Se le condizioni non sussistono, non vi sono gli estremi per considerare la cosa come reato. Ne consegue che le lacune in materia sono alquanto palesi.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha deciso di muoversi per bypassare questi fattori privi di dati concreti e di oggettività. Come? Semplicemente elencando alcuni elementi che indicano chiaramente che la coltivazione è ad uso personale.
Vediamoli pertanto in rapida carrellata.
Questi sono nel complesso i presupposti di non punibilità, a fronte di coltivazione della marijuana.
– Quantitativo non numeroso di piante
– Coltivazione in forma domestica
– Coltivazione modesta in quanto a dimensioni
– Applicazioni di tecniche rudimentali
– Quantitativo minimo di prodotto finale ottenuto
– Assenza di parametri da cui risulta possibile verificare se ci sono gli estremi circa una eventuale presenza nel contesto delle sostanze degli stupefacenti.
Tirando le somme, tutti i suddetti presupposti non sono alternativi e nemmeno cumulativi. In ognuna delle seguenti casistiche, la condotta non è punibile, visto il rispetto totale delle norme.
Le novità non si esauriscono qui: marijuana coltivabile anche ad uso alimentare
Interessante novità in riferimento alla possibilità di coltivare marijuana legalmente è quella a fini alimentari. Tutto questo pone il via al debutto sui mercati delle sementi di cannabis light. I consumatori hanno dato il loro parere positivo, principalmente per via delle innumerevoli proprietà benefiche e assolutamente naturali. Un decreto ministeriale, inoltre, ha dato campo libero anche all’impiego a tavola dei vari derivati della cannabis. Bisogna tuttavia precisare che i limiti di concentrazione di THC sono 0,2% nei semi e 0,5% nell’estratto oleoso. Livelli di THC superiori indicano che si ha a che fare con sostanze stupefacenti e quindi sia la vendita che l’uso personale sono tassativamente vietati. Quantitativi inferiori a quelli citati, invece, non risultano punibili in alcun modo.
Quali sono le proprietà benefiche della cannabis?
L’apertura della Corte di Cassazione risulta strettamente connesso all’uso a fini terapeutici di questa specie vegetale dalle proprietà che spesso passano inosservate, ma che in realtà sono a dir poco straordinarie. Questo a prescindere dalle molteplici forme in cui si può presentare, oli e semi inclusi.
Non solo THC ma anche CBD
Tra le sostanze maggiormente meritevoli di attenzione nella cannabis, oltre al THC, un ruolo decisivo lo ricopre senza ombra di dubbio il cannabidiolo, detto CBD. Se persino l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) le riconosce, di motivi ce ne sono diversi: quello più noto si riferisce alla cura di specifiche patologie croniche del calibro dell’epilessia. In fase sperimentale, vale la pena sottolineare anche uno studio avente a che fare con l’Alzheimer.
L’azione dei semi di cannabis light
Con la scomparsa della politica restrittiva, il commercio dei semi di cannabis light è entrato nel vivo. Tenendo conto del limite dello 0,2% di concentrazione di THC, questa categoria di semi può essere commercializzata senza il minimo intoppo. I diretti interessati in questo modo hanno l’opportunità vantaggiosa di coltivare piante di cannabis a fini personali, a scopi decorativi o per interesse botanico. Naturalmente, il vantaggio di beneficiare degli effetti salutari dei semi di marijuana è parte integrante di questo aspetto.
Il tratto distintivo dei semi di cannabis light risiede in gran parte nell’elevato valore proteico e nel ruolo giocato in ottica di rinnovamento delle cellule. Non vanno poi dimenticate le eccellenti proprietà anti-ossidanti, ottime per curare i malanni dovuti all’artrosi o i disturbi cardiovascolari.
L’importanza del cambiamento giurisprudenziale
Il cambiamento messo in atto dall’ultima sentenza della Corte di Cassazione non ha fatto altro che permettere a numerose imprese commerciali, che offrono servizi a tema, di poter proseguire in un mercato competitivo come non mai. Certo, rimuovere dall’immaginario collettivo l’opinione negativa che è stata assegnata alla marijuana non sarà cosa agevole. Mettere in luce i benefici sarà una sfida avvincente per chi opera in questo settore.
Solo rimuovendo i tabù, si potranno evidenziare i benefici di cui la salute può giovare. Questo presuppone chiaramente l’acquisto da shop online sicuri.
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